Caput Corvi

C

        La vicenda di Davide e Golia è fra le più note di quelle raccontate nella Bibbia. Il campione dei Filistei, Golia, per quaranta giorni, mattina e sera, avanzò dall’accampamento del suo esercito verso quello dell’esercito di Israele reclamando un avversario da sfidare in singolar tenzone. Fu il giovane Davide, pastore di Betlemme, a raccogliere la sfida e con un bastone in mano, armato di fionda e cinque ciottoli, mosse contro il filisteo nel nome del signore degli eserciti, Dio delle schiere di Israele. Con la fionda e con la pietra il pastore colpì il soldato in piena fronte e, raccolta la spada di questi che giaceva tramortito sul terreno, lo decapitò dopo averlo trafitto ferendolo mortalmente. Dopo quaranta giorni di intimidazioni e offese rivolte agli avversari, il gigante era stato battuto.

        Nella Bibbia il numero quaranta ha un importante valore simbolico: è la cifra che esprime il tempo della purificazione. Noè trascorre quaranta giorni e quaranta notti sull’arca e attende per un periodo di ulteriori quaranta giorni, terminato il diluvio, prima di sbarcare sulla terraferma. Il numero quaranta, che stia a indicare giorni o anni, non rispecchia un tempo cronologico, ma un lungo periodo di riflessione per maturare con pieno e profondo convincimento dell’animo le importanti decisioni che ognuno è chiamato a prendere. Solamente in seguito a questo propedeutico tempo di riflessione è possibile avviarsi, ad esempio, lungo la strada del perfezionamento interiore. Michelangelo Merisi, che si istruì sull’alchimia presso il cardinale del Monte, suo mecenate, siamo convinti che non a caso scelse di raffigurare la vicenda biblica della decapitazione di Golia per quel dipinto che probabilmente sarebbe servito per rendere manifesta la sua sottomissione nei confronti di Paolo V, a cui forse l’opera è destinata. Nei lineamenti della testa si riconosce l’autoritratto di Caravaggio, così come in tutte le altre opere con lo stesso soggetto realizzate dal Merisi. Si può cogliere nel Davide e Golia del 1597-1598, opera oggi conservata nel Museo del Prado, il tormento dell’uomo consapevole di dover cominciare un percorso di redenzione, ma che soffre – come si può dedurre dalle sembianze angosciate del volto del gigante morto – perché consapevole di essere imprigionato in quella imperfezione che è la cifra dell’essere umano. È rappresentato, probabilmente, il primo stadio della Grande Opera. Il decapitato – il caput mortuum – altro non potrebbe essere che la resa iconografica della nigredo.

        Trascorsi quaranta giorni non è più il tempo di procrastinare; occorre agire. Chi dice cras, cras (domani, domani) fa come il corvo: se ne va e addio (S. Agostino, Discorso 224). Così come il Caravaggio ha scelto Golia di Gath, molto spesso gli alchimisti hanno scelto il corvo e hanno scritto del caput corvi per rappresentare la Nigredo.

        Usualmente i volatili sono, nelle arti figurative e letterarie, allegorie del desiderio di elevazione; sono espressione della ricerca di un equilibrio tra materialità e immaterialità – corpo e anima –; sono il simbolo della spiritualizzazione della natura terrena dell’uomo attraverso la ricerca del divino. Non è un caso che l’animale del tetramorfo associato all’evangelista Giovanni, autore del vangelo – tra i quattro del canone – in cui più degli altri sono stati esplorati gli aspetti teologici dell’incarnazione del Cristo, sia un’aquila. Per i cristiani San Giovanni[1]Patrono, oltre che dei teologi e degli artisti, degli alchimisti., con il prologo del Logos, ha indirizzato lo sguardo della comunità verso la luce del divino[2]Giovanni ha voluto ribadire la divinità di Gesù di Nazareth contrapponendosi agli eretici negatori della natura divina di Cristo. e fu capace, come si riteneva che potesse fare l’aquila, di osservare questo sole senza rimanere accecato dal suo splendore. Per la tradizione esoterica l’aquila è il simbolo della sublimazione della divinità, opera che si compie allorquando è generata la vita spirituale attraverso il Logos. È dunque il simbolo della rigenerazione spirituale come la fenice, il quinto – l’ultimo, ma non il meno rilevante – tra i volatili cari all’alchimia.

        La fenice è il simbolo della vittoria della vita sulla morte. Rappresenta la Rubedo, l’opera al rosso, la fase finale della Grande Opera che consiste nel ridurre in cenere la materia purificata che dalle medesime ceneri riappare ricostituita. Mascolino e femminino, anima e corpo, sole e luna sono uniti nel Rebis – l’androgino alchemico -. Spesso è raffigurata come un’aquila che protegge sotto le sue ali gli elementi Fuoco e Aria.

        Il pellicano nell’alchimia cristiana ha molti punti in comune con la fenice. Se la fenice è il simbolo della natura divina di Cristo (poiché risorge dalla morte) il pellicano è il simbolo della sua natura umana (poiché si offre in sacrificio). Rappresenta la Citrinitas, l’opera al giallo, fase che spesso non viene menzionata come a sé stante, ma inclusa nella Rubedo. In antichità si credeva che il pellicano si squarciasse il petto per far cibare delle sue stesse carni e del suo stesso sangue i suoi piccoli. Per tale ragione è divenuto l’emblema del sacrificio disinteressato, dell’abnegazione, della solidarietà.

        Il pavone rappresenta lo stadio intermedio fra due fasi consecutive della Grande Opera. È il simbolo «del potere di trasmutazione». Alle volte è sostituito nelle rappresentazioni iconografiche dal basilisco, un gallo con la coda di un serpente oppure un serpente con le ali di un gallo. In alchimia il basilisco è il simbolo del fuoco che trasforma la materia.

        Il cigno è l’emblema dell’Acqua Mercuriale che ha il potere di purificare. Rappresenta l’Albedo, l’opera al bianco. Il cigno è l’immagine della materia riunita (coagula) in una composizione di natura migliore se paragonata alla composizione della materia prima originaria sciolta (solve) nelle prime fasi dell’opera alchemica. Il bianco è il colore degli iniziati che hanno superato la prova del buio attraversando l’oscurità e lasciandosi il nero dietro di sé.

        Per quanto il colore nero evochi la morte e sia per tale ragione considerato un colore infausto, la tradizione alchemica lo collega alla promessa di una rinascita spirituale. È il colore della terra fertile che accoglie il seme che per portare frutto deve morire; è il colore della profondità della caverna, tempio presso il quale avvengono la «seconda nascita» (morte al mondo profano) e la «terza nascita» (morte dell’iniziato e resurrezione dell’adepto[3]L’iniziato rinasce psichicamente ed è partecipe dei misteri minori; l’adepto rinasce spiritualmente ed è partecipe dei misteri maggiori. Il primo rimane all’interno della caverna; il secondo … Continue reading); è il colore del piumaggio del corvo.

        Il corvo – come abbiamo già scritto – rappresenta la Nigredo, l’opera al nero. Per gli alchimisti caput corvi e Nigredo sono sinonimi[4]È chiamato anche caput corvi il recipiente per le reazioni alchemiche.. Nel lessico degli alchimisti con la parola “corvo” è indicato il Sale e con “corvo nero” il recipiente chiuso all’interno del quale avvengono le reazioni chimiche e che trattiene, perché non vadano disperse, le sostanze volatili separate dal corpo che deve morire e rinascere purificato. Il Sale è la materia che ha subito, per essere purgata, la calcinazione cioè il riscaldamento ad elevatissima temperatura. Il “corvo di Ermete” – la rinascita – si ottiene dopo la riuscita fissazione delle sostanze volatili e il ristabilito equilibrio tra gli opposti/complementari. Il simbolismo del corvo è pieno di contrapposizioni interpretative e questa caratteristica lo accomuna alla sostanza trasformante degli alchimisti che è capace di essere «da un lato, qualcosa di assolutamente a buon mercato, vile, perfino spregevole […] e di denotare, dall’altro lato, qualcosa di prezioso, il divino stesso.».

        Quale simbolo di solitudine, il corvo è la figura allegorica dell’eremita che si isola dal mondo nelle profondità della terra per ricercare una vita ascetica e per raggiungere un piano spirituale superiore. È un animale sacro ad Apollo, dio del sole, e questo legame con il sole lo ha reso nelle incisioni degli alchimisti l’eccellente corrispondente del sol niger (altro sinonimo di Nigredo). È altresì il messo di Apollo. Non disdegna di cibarsi di carogne e ciò rende il corvo l’emblema del traghettatore di anime che sovrintende al passaggio dalla vita alla morte; testimone diretto della putrefazione della materia.

        Certi elementi simbolici che sono tipici dell’archetipo del volatile tout court più che di un genere di uccello in particolare trovano compiutezza nei costumi del corvo ed è forse per tale ragione che proprio questo animale è stato più spesso scelto – protagonista nel racconto popolare, nel mito, nella tradizione esoterica – quale tramite tra l’esperienza del terreno e l’esperienza dell’ultraterreno, poiché meglio di altri generi di uccelli incarna in sé le qualità peculiari del messaggero e dello psicopompo. Unica eccezione potrebbe essere l’ibis, animale sacro per la religione egizia. Il simbolismo dell’ibis, così come quello del corvo, si fonda sulla contrapposizione tra empietà e purezza. Per esempio, in relazione alle abitudini di quest’ultimo animale legate al cibo e all’acqua, è stato osservato che è solito nutrirsi anche di carcami, ma per abbeverarsi sceglie solamente acque limpide[5]Le acque presso le quali venivano avvistati gli ibis venivano raccolte e utilizzate per le abluzioni dai sacerdoti.. È raffigurato come ibis o essere ibiocefalo il dio egizio Thoth, scriba divino che soprintende alla pesatura del cuore dei defunti operata da Anubi, ne registra i risultati e proclama il verdetto[6]Se il cuore del defunto pesa tanto quanto una piuma questi può passare nell’aldilà; se il cuore pesa più della piuma il defunto viene divorato da Ammit.. Thoth era il messaggero degli dei come Ermes presso i greci e Mercurio presso i romani.

        E anche Ermes e Mercurio, come Thoth, hanno un legame diretto con la simbologia dei volatili: indossano, infatti, i calzari e il copricapo alati. Ognuna delle divinità di questa triade potrebbe sovrapporsi a ciascuno degli altri per certe caratteristiche. Inventori, divinatori, ingannatori, psicopompi, si presentano all’anima dell’uomo quando si avvicina il momento della psicostasia, quando è trascorsa la quaresima e la salvezza dello spirito – la sua elevazione – dipende da quanto bene l’uomo-alchimista ha eseguito i procedimenti di soluzione e coagulazione e muovono con in mano il bastone del messaggero come fece Davide andando incontro a Golia.

Bibliografia
AAVV, Il libro dei simboli, Taschen, 2011.
Atorène, Il laboratorio alchemico, Edizioni Mediterranee, Roma, 1996.
C. D’orazio, Caravaggio segreto, Sperling & Kupfer, Milano, 2013.
C. G. Jung, Psicologia e alchimia, Bollati Boringhieri, Torino, 2014.
Fulcanelli, Il mistero delle cattedrali, Edizioni Mediterranee, Roma, 2005.
G. Testi, Dizionario di alchimia e di chimica antiquaria – Paracelso, Edizioni Mediterranee, Roma, 2002.
J. Chevalier, A. Gheerbrant, Dizionario dei simboli, BUR, Milano, 2015.
J. Frabicius, Alchimia, Edizioni Mediterranee, Roma, 1997.
R. Guénon, Simboli della Scienza sacra, Adelphi, Milano, 2015.

Note

Note
1 Patrono, oltre che dei teologi e degli artisti, degli alchimisti.
2 Giovanni ha voluto ribadire la divinità di Gesù di Nazareth contrapponendosi agli eretici negatori della natura divina di Cristo.
3 L’iniziato rinasce psichicamente ed è partecipe dei misteri minori; l’adepto rinasce spiritualmente ed è partecipe dei misteri maggiori. Il primo rimane all’interno della caverna; il secondo esce finalmente dalla caverna.
4 È chiamato anche caput corvi il recipiente per le reazioni alchemiche.
5 Le acque presso le quali venivano avvistati gli ibis venivano raccolte e utilizzate per le abluzioni dai sacerdoti.
6 Se il cuore del defunto pesa tanto quanto una piuma questi può passare nell’aldilà; se il cuore pesa più della piuma il defunto viene divorato da Ammit.

L'autore

Raffaele Pileggi

Uomo del dubbio, libero e di buoni costumi.

Ricercatore nel campo dell’esoterismo ha scritto numerosi saggi sul percorso iniziatico, la morte iniziatica e l’alchimia trasformazionale. Ha ideato un percorso di crescita personale che affonda le sue radici nella tradizione esoterica occidentale e lo mette in pratica con i suoi mentee durante le sessioni da lui guidate di Alchemy mentoring.

Il suo sito ufficiale è www.raffaelepileggi.it che raccoglie alcune delle sue produzioni letterarie.

Su instagram ha realizzato uno spazio dedicato agli spunti di riflessione per una accurata formazione esoterica (@raffaelepileggi.alchimia).

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Di Raffaele Pileggi

Raffaele Pileggi

Uomo del dubbio, libero e di buoni costumi.

Ricercatore nel campo dell’esoterismo ha scritto numerosi saggi sul percorso iniziatico, la morte iniziatica e l’alchimia trasformazionale. Ha ideato un percorso di crescita personale che affonda le sue radici nella tradizione esoterica occidentale e lo mette in pratica con i suoi mentee durante le sessioni da lui guidate di Alchemy mentoring.

Il suo sito ufficiale è www.raffaelepileggi.it che raccoglie alcune delle sue produzioni letterarie.

Su instagram ha realizzato uno spazio dedicato agli spunti di riflessione per una accurata formazione esoterica (@raffaelepileggi.alchimia).

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