Il contatto tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti è un motivo topico della letteratura, sia che esso si caratterizzi nella discesa di un uomo vivo nell’Ade – la cosiddetta catabasi – sia che esso si caratterizzi nella pratica cultuale della negromanzia – la nekyia – ossia il rito attraverso il quale spettri o anime di defunti vengono richiamati sulla terra e interrogati sul futuro.
Dal mito antico alla Commedia di Dante il legame del morto con la vita terrena non e mai completamente reciso. Per di più, secondo molte religioni, tribunali composti da eterne e onnipotenti entità chiedono conto alle anime di quanto compiuto come uomini nel mondo. Non c’è una netta separazione tra il prima e il dopo. Di fondo, la consolazione è che l’anima continua in qualche modo a esistere, a vivere. Che sia nell’Ade o nei Campi Elisi, all’Inferno o in Paradiso, la vita, paradossalmente, non finisce con la morte.
Nel mito, il viaggio iniziatico dell’eroe è compiuto nelle tenebrose profondità della terra e ha come scopo la redenzione dell’Anima resa impura da un’azione meschina compiuta nel passato. L’eroe rappresenta lo slancio dello spirito dell’essere umano che desidera vincere le sue debolezze e infiammare il divino che ha in sé.
L’eroe Gilgamesh, per esempio, cammina nella profonda oscurità di una montagna per trovare l’albero dai frutti di rubino. Il racconto della ricerca della pianta dell’immortalità finisce con un insegnamento di cui fare tesoro. Gilgamesh trova i frutti di rubino, ma si fa distrarre e un serpente glieli ruba. Anche per l’aspirante uomo nuovo l’elevazione non è né immediata né garantita.
Celeberrimo esempio della catabasi è la Commedia di Dante. Qui il poeta compie un viaggio nell’oltretomba accompagnato da Virgilio – suo maestro spirituale – che già a sua volta aveva scritto nell’Eneide della discesa agli inferi del suo eroe Enea.
In questo caso l’ispirazione è lapalissiana. Ma possiamo osservare – ce lo fa notare Jung nel suo lavoro Psicologia e alchimia – che tra il 1330 e il 1355, indipendentemente da Dante, un monaco cistercense, tale Guglielmo di Dugulleville, fu l’autore di tre pellegrinaggi: Pèlerinage de la vie humaine, Pèlerinage de l’âme, Pèlerinage de Jésus Christ. Fra questi, il pellegrinaggio dell’anima è il più interessante al fine della nostra trattazione poiché contiene una descrizione del paradiso del tutto simile a quella dantesca.
È interessante osservare come produzioni letterarie di tutte le epoche e di tutte le parti del mondo mostrino innumerevoli similitudini tra loro, anche in quei simboli che potrebbero apparire invenzioni originali di un autore. Ancora una volta è Jung a offrirci una spiegazione per tale fenomeno: egli ci istruisce riguardo a una memoria collettiva, una coscienza comune che è fatta di simboli che sono produzioni spontanee della psiche oggettiva, archetipi ripresi nei secoli dalle numerose culture e poi ancora utilizzati quali simboli esoterici dalle dottrine iniziatiche. Patrimonio di ognuno, costituiscono una massa informe di conoscenze nascoste nell’inconscio.
È evidente quanto risulti importante conoscere questa natura dei simboli archetipici tanto più che numerosissime dottrine insegnano come giungere per mezzo dei simboli a una percezione superiore. Non si può, dunque, prescindere dallo studio delle interpretazioni di tali simboli nelle diverse epoche e culture e nazioni se il nostro scopo è di spingerci fino a una conoscenza quanto più approfondita – sebbene mai del tutto esauriente – e illuminata.
A proposito degli eroi dei miti: si discute se interpretarne l’archetipo come di uomini divinizzati o di divinità decadute. Voi cosa ne pensate? Se vi va, fatemelo sapere nei commenti.